Nella fretta e nel tempo contratto della vita di tutti i giorni, è facile cadere nella trappola del verdetto facile, dettato dalla presunzione di avere in tasca la soluzione perfetta per ogni situazione.
Ricordo un interessante esperimento di qualche anno fa: preso un gruppo di circa 60 persone molto eterogeneo per età, aspetto, professione e altro, una voce fuori campo chiedeva alle persone di dividersi in gruppi distinti: maschio/femmina, under 40/over 40, lettori accaniti/non lettori, insegnanti/studenti/lavoratori, amanti della montagna/amanti del mare, mangiatori di carne/vegetariani, credenti/non credenti eccetera… Naturalmente i gruppi che via via si formavano, ad ogni nuova richiesta, erano composti sempre da persone diverse. Gli sguardi delle persone coinvolte nell’esperimento si facevano sempre più strabiliati, e alla fine dell’esperimento tutti ridevano e si davano grandi pacche sulle spalle: si era resa evidente la più grande della realtà, cioè che le differenze stanno nella nostra testa, che cambiando punto di vista cambiano profondamente prospettive, aspettative, opportunità e possibilità che restano precluse quando le posizioni sono, e volutamente sono tenute, rigide.
Digitando su uno dei maggiori motori di ricerca “qual è il mestiere più difficile del mondo”, le prime tre o quattro pagine riportano a siti di editori, vendita di libri online, psicologia ed altro che parlano della difficile arte di essere genitori: la responsabilità che grava sulle spalle dell’essere genitore aumenta con la crescita anagrafica ed emotiva dei figli, e purtroppo càpita a volte che l’essere genitore naturale non automaticamente significhi riuscire ad essere un buon genitore. Partendo dal presupposto che nessun essere umano è perfetto, va da sé che non esiste il genitore perfetto (e nemmeno il figlio perfetto), un margine di errore è naturale e deve essere concesso tanto ai genitori quanto ai figli, e in generale in qualsiasi rapporto tra persone: io sopporto i tuoi scivoloni e tu sopporti i miei.
Diverso è quando non si tratta di sporadici scivoloni ma di prassi che si ripetono quotidianamente e possono significativamente incidere sulla crescita di un bambino.
Nei primi anni di vita dei nostri figli abbiamo insegnato loro a mangiare con il cucchiaino, a parlare, a camminare e a fare le scale, ad andare in bicicletta, a tenersi puliti e le mille altre cose che permettono all’individuo di essere autonomi. Ci siamo preoccupati se stavano facendo attività pericolose per la loro salute fisica, abbiamo attaccato cerotti e li abbiamo portati dal medico se stavano male, siamo stati loro vicino durante l’approccio con la scuola, tutto ciò comunicando a loro il nostro modo di fare le cose, di vivere la vita, le situazioni e le emozioni. La psicologia e gli studi sociali (oltre all’esperienza personale diretta ed indiretta) ci dicono che nella maggior parte dei casi la buona parte dei comportamenti dei bambini sono repliche di quanto questi vivono in famiglia (nella maggior parte dei casi: quante volte ci è capitato che i nostri teneri cuccioli tornino dalla scuola materna decantando ad alta voce una bella sfilza di parolacce che mai sono uscite dalla nostra bocca? Mica imparano solo quello che vivono a casa, sia ben chiaro!). Quello che però non è comprensibile è il motivo per il quale, arrivati ad un certo punto della loro pre-adolescenza e adolescenza, i ragazzi vengano considerati sufficientemente autonomi da poter essere in grado di fare, materialmente ed emotivamente, tutto da soli, come degli adulti formati.
Uno dei maggiori mali al quale i nostri figli già da bambini sono sottoposti, è l’utilizzo di tablet e smartphone, nella maggior parte, ma non nella totalità dei casi, senza alcun controllo da parte degli adulti di riferimento. Probabilmente nessun genitore consapevole lascerebbe il proprio figlio in età scolare o appena adolescente in Piazza Duomo a Milano da solo per una giornata intera, ma lo stesso genere di pericolo accade quando viene lasciato a bambini e ragazzi libero utilizzo di strumenti con accesso al web.
Da tempo si sente parlare dei possibili problemi che un uso senza controllo e continuativo di smartphone e tablet può causare nei bambini piccoli, ora non si tratta più di possibilità ma di realtà sotto i nostri occhi. Alcuni motivi per i quali smartphone e tablet non sono adatti ai bisogni dei bambini: riducono la probabilità di successo scolastico; interferiscono con lo sviluppo della mente in età evolutiva; impattano sullo stato di salute organica dei nostri figli; riducono le competenze empatiche; influiscono sulle reazioni emotive; creano ansia e dipendenza; generano diseducazione sessuale; interferiscono con il bisogno di sonno; non aumentano il senso di protezione e sicurezza. Però un po’ tutti noi genitori ci siamo trovati a fare i conti, chi prima chi dopo, con la richiesta di utilizzo o acquisto dello smartphone da parte dei nostri figli, richiesta alla quale molto spesso abbiamo ceduto giustificandoci con l’usurato mantra che “ce l’hanno tutti, si sentirebbe diverso…”
Anche durante la nostra adolescenza le spinte erano le stesse: tutti vestiti uguali, mode da seguire a tutti i costi, anche se malsane, atteggiamenti, comportamenti. Ma nulla di quello che noi abbiamo vissuto da adolescenti aveva il potere di interagire e modellare così pesantemente la struttura stessa del cervello, e conseguentemente anche la nostra vita.
Fermo restando legittima la necessità di una “sospensione” dall’essere genitore al 100% senza soluzione di continuità, dato che è necessario poter ricavare dei momenti durante i quali piccoli possano stare senza l’interazione con i genitori per permettere loro di dedicare tempo e risorse necessarie a se stessi (situazione comune nella società moderna, dato che i nuclei familiari genitori/figli vivono, nella maggior parte dei casi, isolati dal resto delle famiglie di origine e con poche o nulle possibilità di affidare la prole a nonni, genitori, fratelli, sorelle, nipoti per avere qualche momento durante il quale essere adulti e basta), il ricorso a tempo indeterminato a device tecnologici per distrarre e tenere buoni i piccoli implica che i genitori hanno abdicato al loro ruolo, limitando a brevi momenti e a poche basilari attività il compito che hanno scelto di ricoprire.
Per quanto possa essere difficile, noi per primi dovremmo ridurre, un poco alla volta, il tempo che dedichiamo alla vita social dando per primi l’esempio, e utilizzare qualche minuto in più al giorno per fare qualcosa con i nostri figli: impastare un dolce, leggere un articolo di giornale, guardare le nuvole o le stelle. Troppo semplice? Troppo banale? Forse sì, forse però abbiamo bisogno semplicità, di guardare con occhi diversi la nostra vita per trovare modi e spazi alternativi che ci facciano sentire meno soggiogati. Quante volte ci siamo detti: “guardo due minuti e poi faccio altro” e alzando gli occhi ci siamo accorti che è passata già mezz’ora, un’ora? Come succede a noi di perdere la cognizione del tempo che dedichiamo alla navigazione, spesso infruttuosa, sui social, allo stesso modo e soprattutto con impatto maggiormente negativo questo accade quando sono i piccoli ad essere lasciati da soli davanti ad un monitor, che sia esso tablet, smartphone, televisione, piattaforma di giochi e altro. Diventa quindi onere e onore dei genitori interrompere, per se stessi e per i propri figli, circuiti che sono dannosi per la loro crescita e il loro sviluppo, sia funzionale che, soprattutto, emotivo.
di Chiara Stoppa